GIUSEPPE TERRAGNI (Meda 1904 – Como 1943)
Partecipe del Gruppo Sette, che dal 1926 svolse un ruolo preminente nella nascita e definizione del Razionalismo Italiano, è stato uno tra i più importanti rappresentanti dell’architettura moderna in Italia, tra le due guerre. Tra le sue numerose opere:
“Novocomum” (1927-29)
“la Casa del fascio” (1932-36) a Como.
CENNI BIOGRAFICI A CURA DI ATTILIO A. TERRAGNI
Giuseppe Terragni ha conosciuto nel corso della sua breve vita un’intensa carriera trascorsa interamente sotto il Fascismo.
Nato a Meda nel 1904, compirà diciotto anni nell’anno della marcia su Roma e della presa del potere di Benito Mussolini (1922), per poi morire pochi giorni prima del suo rovesciamento, il 25 luglio 1943.
Tutta la sua opera costruita è concentrata tra Como, la sua città, e Milano dove si laureò presso il Politecnico nel 1926 in un clima accademico piuttosto tradizionalista dominato da docenti come Gaetano Moretti e Piero Portaluppi. Terragni è fra i neolaureati o laureandi che danno vita al Gruppo 7 per porre delle questioni nuove nel dibattito architettonico italiano allora piuttosto provinciale. Ne fanno parte Luigi Figini, Gino Pollini, Carlo Enrico Rava, Sebastiano Larco, Guido Frette e Umberto Castagnoli.
Il primo dei loro articoli inizia affermando che “E’ nato uno spirito nuovo”. L’Italia secondo il Gruppo 7 dovrebbe dettare questo spirito nuovo alle altre nazioni, spirito che ha una nuova necessità di chiarezza e di ordine, nella quale fra passato e presente non ci sarebbe incompatibilità. Non bisogna dunque rompere con la tradizione ma al contrario perseguirne una continuità nella trasformazione. Roma antica, annotano i giovani architetti, ha prodotto pochi tipi edilizi fondamentali – il tempio, la basilica, le terme etc.. Roma insomma “costruiva in serie” e questo è l’esempio su cui basarsi per rispondere alle nuove esigenze contemporanee. Per fare questo è necessario che l’architetto lavori in gruppo per una selezione dei nuovi tipi della modernità.
I primi progetti di Terragni sono la messa in opera dei principi individuati dal Gruppo. Per esempio nella ristrutturazione dell’albergo Metropole-Suisse a Como (1926-27) sceglie di trasformare la tradizione utilizzando nella facciata gli stessi elementi –vasi, candelabri, pigne- ma trasfigurandoli in forme e ritmi completamente nuovi. Nel Monumento ai caduti a Erba Incino (1926-32) e nelle edicole funerarie Stecchini e Pirovano (entrambe del 1930-31) a Como, storia e memoria si fondono a costituire esempi moderni.
L’architettura del Monumento, ad esempio, è moderna perché riesce a far in modo che l’apparire del suo contenuto, cioè la Memoria dei caduti, non irrompa da una forma, da uno stile o da decorazioni accessorie ma nella reale esperienza di chi lo percorre, nella luce e nel paesaggio che lo consuma. Il progetto che lo renderà noto a tutti è però il complesso di appartamenti Novocomum a Como (1927-29) grazie anche alla beffa con cui Terragni aggirerà i problemi della commissione d’ornato presentando in Comune un progetto camuffato con timpani e lesene. L’edificio suscitò una grande clamore soprattutto per la soluzione angolare costituita da un grande elisse vetrato impostato sotto un angolo retto a sbalzo. Il Novocomum venne unanimemente considerato il primo edificio moderno in Italia; Terragni era allora ventiquattrenne.
In pochi anni le vicende dell’architettura moderna italiana si susseguirono vorticosamente e nel 1932 la Mostra della rivoluzione fascista (1932) assicurò fama nazionale a Terragni che allestì la Sala O con un grande fotomontaggio di centinaia di mani tese mosse dalle gigantesche turbine della rivoluzione.
Tra il 1932 e il 1936 si apre una fase molto favorevole all’architettura moderna in Italia perché il Fascismo è l’unico regime totalitario che sembra volersi presentare tramite un linguaggio moderno, al contrario sia del Nazismo –basti pensare all’immediata chiusura del Bauhaus nel ’33- sia del Comunismo staliniano, ma anche dei paesi democratici: ovunque il classicismo sembra prevalere.
Sono soprattutto però gli anni della Casa del fascio di Como (1932-36) per la quale, sottolineando il proprio idealismo, Terragni rinuncerà a ogni compenso. Grazie all’aiuto decisivo del fratello Attilio, esponente del Pnf comasco e poi podestà cittadino, Giuseppe Terragni progetta un volume compatto che solo apparentemente può sembrare chiuso in se stesso, come erroneamente ha scritto Manferdo Tafuri. Non solo l’edificio è aperto da numerosissime aperture vetrate, ma anche tutti i disegni si sforzano di sottolineare il rapporto di permeabilità visiva perché, come aveva dichiarato Mussolini in passato “il fascismo è una casa di vetro” e il lavoro all’interno di essa andava perciò mostrato senza infingimenti.
Inoltre l’orientamento dell’edificio secondo la griglia individuata dal cardo e dal decumano romani della città di Como indica che la Casa del fascio vuol essere la prima pietra di una nuova città in continuità con l’antica.
Ha scritto Giorgio Ciucci che “la razionalità invocata da Terragni è una razionalità di rapporti aurei, di ordini invisibili, di relazioni che vanno di là dal fisico e che si possono solo intuire” e ciò vale anche per alcuni straordinari progetti non realizzati come quelli per il Palazzo del Littorio (1934) e soprattutto per quello del Danteum (1938).
Il 1936 è l’anno più felice per la produzione di Terragni perché ha modo di realizzare l’arioso e articolato Asilo d’infanzia Sant’Elia che inaugura una serie di progetti – quella delle ville sul lago. Il 1936 è però anche l’anno della proclamazione dell’Impero e la definitiva sconfitta dell’architettura moderna in Italia dal momento che d’ora in poi l’esigenza primaria del regime sarà uno stile che ubbidisca a criteri di grandiosità e monumentalità, ovvero lo stile E42.
Quasi nessuno si accorgerà dell’ultimo edificio realizzato da Terragni, la Casa di abitazione Giuliani Frigerio (1939-40) perché difficilmente assimilabile a ogni altro progetto coevo di architettura europea. La Giuliani Frigerio, posta a poche decine di metri dalla sua prima opera, il Novocomum, appartiene all’ultima stagione progettuale di Terragni quando la sintesi della forma arriva all’apice della compenetrazione. Da molti schizzi è chiaro come egli progettasse l’edificio direttamente in sezione e il risultato è un’opera ineguagliabile nella sua solitaria complessità formale.
La carriera di Terragni viene però bruscamente interrotta dalla chiamata alle armi nel 1939, quando la Giuliani Frigerio non è ancora ultimata, quindi nel 1941 quando farà parte della disastrosa campagna italiana in Russia. Tornò a Como minato psichicamente, svuotato: a chiunque incontrasse chiedeva scusa senza ragione. Morì appena trentanovenne. Nel Dopoguerra si rimuoveranno a lungo i significati politici che lo stesso Terragni aveva voluto attribuire alla propria opera: da un lato Bruno Zevi che ha giudicato l’architettura di Terragni “intrinsecamente” antifascista perché antiretorica, dall’altro Peter Eisenman che con le sue analisi sintattiche tenderà ad astrarre completamente Terragni dal suo contesto sebbene proprio grazie a queste Terragni abbia conosciuto una rinnovata fortuna internazionale. Storici come Giorgio Ciucci e, più recentemente, Paolo Valerio Mosco hanno invece restituito Giuseppe Terragni alla sua giusta dimensione storica: quella di un architetto che ha voluto essere parte di un movimento politico e nel contempo lottare per un congruente movimento architettonico rispondendo a una concezione austera della vita che Giovanni Gentile, nel Manifesto degli intellettuali del Fascismo (1925), definì “serietà religiosa”.
OMAGGIO A GIUSEPPE TERRAGNI A CURA DI FRANCO BIZZOZZERO
L’omaggio a Giuseppe Terragni parte da una ricerca puntuale che ha fatto riemergere segni qua e là nel compendio degli studi presenti in Archivio Terragni, che potevano attendere ad un più recente impegno di arredo o più semplicemente ad appunti a breve realizzabili, posti a margine di tavole più complesse come promemoria per ulteriore sviluppo.
E questo ha portato l’attenzione tra i tanti schizzi ad un esecutivo, molto etereo nel senso della conservazione, fatto di linee complete ma appena accennate, quasi non ci fosse bisogno altro che la tridimensionalità per dargli vita: con il sovrapporsi una sull’altro, seduta su mobile, dei tratti di livello in un unicum inscindibile.
Ci auguriamo possa essere il senso, speriamo riuscito, di un postumo tributo alla sua multiforme personalità, attraverso la realizzazione di tre elementi INEDITI di arredo: il contromobile, la poltrona e la lampada. L’operazione, originata da un profondo rispetto di questi assunti, induce una sentita condivisione del processo creativo razionalista che permane forte e presente anche a distanza di quasi un secolo.
Processo che ha contribuito nel tempo all’emergere di una nuova sensibilità nell’affrontare i temi contemporanei, coinvolgendo la formazione professionale di generazioni di architetti e plasmando culturalmente un tessuto produttivo locale (comasco, lombardo) che ha saputo rappresentare, nel solco di questo impagabile humus, l’eccellenza del saper fare così distintiva della nostra Italia imprenditoriale.
Ci siamo avvicinati ai bozzetti ed alle ricerche del Maestro con rispetto seppur consci che il metodo Terragni è sempre stato quello pragmatico, operativo, a fianco delle maestranze artigiane. Vale a dire di chi deve interpretarne alla lettera le sfide tecniche od anche individuarne alternative soluzioni operative.
Uno scambio dialettico sinceramente rispettoso dei ruoli e comunque della comune finalità: la realizzazione di elementi innovativi e sperimentali che utilizzando la migliore tecnica disponibile la rendano strumento di alta espressività.
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